(Il testo riportato non
riveste carattere di ufficialità)
TAR LOMBARDIA, II°
SEZIONE,
Sentenza n. 3138 del
3.5.2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
il Tribunale Amministrativo Regionale per la
Lombardia sezione 2a ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 2905/98, proposto da … (omissis) …
contro
Azienda
ospedaliera … (omissis) …
per l'annullamento
-della disposizione
impartita dal direttore generale con nota 13 luglio 1998, di optare per
l’attività libero professionale intra o extra moenia;
-della deliberazione n.491
del 25 giugno 1998 di adozione del regolamento concernente lo svolgimento
dell’attività libero professionale;
-di tutti gli atti
allegati e connessi, compresi anche il regolamento per l’erogazione delle
prestazioni ambulatoriali e gli allegati alla delibera n.491/98 con ipotesi di
tariffario;
visto il ricorso con i
relativi allegati;
visto l'atto di
costituzione in giudizio dell’azienda ospedaliera;
viste le memorie difensive
delle parti;
visti i motivi aggiunti di
impugnazione;
uditi alla pubblica
udienza del 27/10/99, relatore il cons. D.Giordano, gli avv.ti Pascale, per i
ricorrenti e Putignano, in delega, per l’azienda ospedaliera;
visti gli atti tutti della
causa;
ritenuto quanto segue in:
F A T T O
E D I R I T T O
1) Con ricorso
notificato in data 8 luglio 1998, alcuni medici in servizio presso l’ospedale
……. (omissis) ….. hanno impugnato gli atti con i quali l’azienda ospedaliera ha
provveduto ad organizzare l’esercizio della libera professione intramuraria. A
sostegno del gravame i ricorrenti hanno dedotto motivi, articolati in plurime
censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
L’azienda
intimata si è costituita in giudizio, controdeducendo.
Il ricorso è
stato integrato con motivi aggiunti di impugnazione.
2) Il ricorso
si dirige avverso gli atti con i quali l’azienda ospedaliera ha predisposto e
attivato le misure organizzative per l’esercizio della libera professione
intramuraria ed ha quindi imposto ai dipendenti interessati, ai sensi
dell’art.1 comma 11 l.n.662/96, di esercitare l’opzione per l’attività libero
professionale interna o esterna.
I ricorrenti,
tutti dirigenti medici che hanno manifestato l’opzione per l’attività libero
professionale extramuraria (ma con riserva per l’esito del giudizio),
sostengono che, con le misure adottate, l’azienda non ha adempiuto agli
obblighi richiesti dalla legge per l’avvio effettivo del nuovo regime; in
ragione di ciò non sarebbe garantita la possibilità concreta di svolgere la
libera professione interna e difetterebbero i presupposti idonei a consentire
una scelta meditata. In tali condizioni, l’azienda non potrebbe pretendere
l’opzione, il cui esercizio espone gli interessati alle conseguenze negative,
in termini di penalizzazioni retributive e di carriera ovvero di perdita della
clientela privata, derivanti alternativamente dall’esercizio della facoltà di
scelta per l’una o l’altra attività.
La tesi di
fondo che ispira il ricorso si muove nella direzione di ritenere esigibile
l’esercizio dell’opzione, solo in presenza di “strutture adeguate già pronte e
funzionanti” per l’esercizio della libera professione intramuraria.
Ciò posto,
occorre domandarsi se al dovere del direttore generale di predisporre le misure
necessarie e di attivare le modalità organizzative per l’esercizio della libera
professione interna corrisponda, in capo al personale interessato, una
posizione giuridica meritevole di tutela; più precisamente, occorre cioè
valutare i confini entro i quali è suscettibile di protezione la pretesa a che
gli spazi riservati alla libera professione siano “adeguati”, ovvero, secondo
quanto affermato dai ricorrenti, “consoni, dignitosi, decorosi sia per i
professionisti liberi sia per i clienti paganti in proprio”.
3) Il quadro
normativo di riferimento è dato dall’art.4, decimo comma, del D.Lgs. 30
dicembre 1992 n.502, recante disposizioni per il riordino della disciplina in
materia sanitaria, il quale prevede che i direttori generali delle aziende
ospedaliere debbano reperire “spazi adeguati”, da riservare all’esercizio della
libera professione intramuraria, presso la struttura aziendale o, in caso di
documentata impossibilità, presso sedi convenzionate, nonché destinare alla
creazione di stanze a pagamento una quota, non inferiore al 5% e non superiore
al 10% dei posti letto esistenti. In base all’art.11, commi decimo e
undicesimo, della l.n.662/96, la pianificazione e l’attivazione di detti
adempimenti, rendendo concretamente possibile l’esercizio della libera
professione intramuraria e consentendo ai dipendenti interessati di compiere
una scelta consapevole, costituisce presupposto per l’insorgere dell’obbligo di
opzione tra le due attività.
In seguito,
con l’art.4 d.l. n.175/97, conv. in l.272/97, è stato affidato al Ministro
della sanità il compito di emanare le linee guida per l’organizzazione
dell’attività libero professionale intramuraria, che sono state precisate con
D.M. 31 luglio 1997 (in G.U. n.181 del 5 agosto 1997). Quest’ultimo testo
normativo stabilisce i criteri cui devono conformarsi gli atti regolamentari
che, in materia, devono essere adottati dai direttori generali delle aziende
ospedaliere per definire le modalità organizzative dell’attività libero
professionale del personale medico in regime ambulatoriale e di ricovero.
4) La
normativa vigente all’epoca di adozione dei provvedimenti impugnati prevede,
quindi, una complessa fase di pianificazione e organizzativa mirata a
consentire al personale della dirigenza del ruolo sanitario il pieno esercizio
della libera professione intramuraria; a tal fine la legge ha sancito il dovere
funzionale del direttore generale di assumere tutte le iniziative necessarie a
reperire spazi idonei per l’esercizio dell’attività libero professionale in
regime ambulatoriale e di ricovero, principalmente all’interno delle strutture
aziendali, ovvero, in caso di accertata indisponibilità di queste, a reperire
spazi sostitutivi anche presso strutture sanitarie non accreditate e presso
studi professionali privati.
La disciplina,
che si aggiunge alle misure predisposte per incentivare il personale chiamato
ad esprimere l’opzione, mostra una decisa preferenza per l’attività
intramuraria, in piena coerenza con il principio dell’unicità del rapporto di
lavoro con il servizio sanitario nazionale, che già l’art.4 l.n.412/91 aveva
configurato quale passaggio necessario a restituire la massima efficienza ed
operatività alla rete sanitaria pubblica. Ciò nella convinzione che le
prestazioni rese in regime libero professionale intramurario accrescano la
capacità di offerta del servizio pubblico e valgano, al contempo, ad assicurare
maggiori entrate e a realizzare economie di gestione (cfr. Corte cost. n.330/99).
Per questa
ragione, l’art.4, comma dieci, d.lgs. n.502/92 stabilisce che i direttori generali
delle aziende ospedaliere e sanitarie sono direttamente responsabili
dell’attuazione delle misure organizzative necessarie e, in base all’art.1
comma 16 l.n.662/96, sono poi chiamati a risponderne in sede di verifica dei
risultati amministrativi e di gestione.
La successiva
evoluzione legislativa ha poi precisato che la mancata attuazione degli
interventi necessari al pieno sviluppo dell’attività intramuraria, costituisce
causa ostativa al rinnovo dell’incarico di direttore generale e, nei casi più
gravi, ragione di immediata revoca dell’incarico medesimo (art.72, comma11,
l.n.448/98); se ne deduce che la mancata adozione delle misure organizzative
non esclude l’obbligo di opzione, ma costituisce soltanto elemento valutabile a
carico del direttore generale. In maniera ancora più radicale, l’art.15 quater
del d.lgs. n.229/99 ha imposto ai dirigenti del ruolo sanitario di rendere
l’opzione indipendentemente dall’esistenza o dall’attivazione di strutture per
l’esercizio della libera professione intramuraria. Come ricordato, nel
precedente assetto normativo, invece, i dirigenti medesimi. erano tenuti a
comunicare l’opzione soltanto se “in
servizio presso strutture nelle quali l’attività libero professionale
intramuraria risulti organizzata e attivata” (art.1, comma dieci,
l.n.662/96).
La disciplina
in vigore all’epoca dei fatti connette(va) quindi l’obbligo di opzione alla
circostanza che l’attività libero professionale sia organizzata e attivata
secondo le modalità indicate, anche in via transitoria, dall’art.4, comma 10,
d.lgs. n.502/92, che impone alle aziende sanitarie di rendere disponibili
strutture adeguate per l’esercizio dell’attività intramuraria.
5) Alla luce
delle disposizioni da ultimo considerate, la presenza di modalità organizzative
idonee a consentire l’esercizio della libera professione interna costituisce
condizione sufficiente a configurare l’obbligo di rendere l’opzione. Come ha
giustamente osservato la difesa resistente, la valutazione dell’adeguatezza
delle misure predisposte dall’azienda può operarsi non alla stregua di
parametri soggettivi, ovvero in termini di maggiore o minore comfort delle
strutture allestite, ma esclusivamente in relazione ai criteri fissati in fonti
normative, ossia in funzione dell’oggettiva idoneità delle misure approntate a
consentire il concreto esercizio dell’attività libero professionale interna.
Ne deriva che
le aziende ospedaliere e sanitarie devono progettare e attivare il modello
organizzativo del quale il personale medico potrà avvalersi per l’esercizio
della libera professione interna; l’esecuzione di tale adempimento pone gli
interessati in condizione di conoscere le modalità organizzative che sono state
predisposte in funzione dell’attività interna e consente loro di optare per
l’una o l’altra attività, alla luce di tutti gli elementi di valutazione che
concorrono a determinare la scelta individuale che, fermo l’obbligo di opzione,
potrà eventualmente indirizzarsi verso l’attività libero professionale esterna,
qualora gli interventi predisposti dall’azienda, benché conformi ai parametri
normativi, siano tuttavia in base ad un libero apprezzamento personale
giudicati inidonei a consentire un proficuo esercizio dell’attività
intramuraria.
6) Qui giunti,
e così delimitato l’ambito entro il quale i ricorrenti sono legittimati a
contestare le misure che sono state attivate dall’azienda con il regolamento
impugnato, può procedersi all’esame delle censure esposte nel ricorso.
6.1)
All’esercizio dell’attività libero professionale in regime di ricovero l’amministrazione
ha destinato il secondo piano del fabbricato sede del dipartimento di
emergenza, dove ha previsto l’apertura di un reparto solventi a conclusione
(stimata per ottobre 1998) delle operazioni di collaudo degli impianti; in tal
modo, con l’entrata in funzione di detta struttura, 31 stanze con possibilità
di 62 posti letto saranno riservate all’attività libero professionale
intramuraria. In attesa dell’avvio del nuovo reparto, sono stati individuati
due posti letto per ogni sezione, in camere da degenza a due letti e secondo
una distinta lista d’attesa, per l’attività di ricovero in regime libero
professionale.
Le misure non
rispondono alle aspettative dei ricorrenti, che giudicano generiche le
indicazioni fornite dagli atti impugnati e tali da non offrire concrete
garanzie circa la possibilità effettiva di svolgere la libera professione.
Il punto è
che, al di là delle pur comprensibili esitazioni degli interessati,
l’amministrazione è tenuta ad assicurare la disponibilità dei posti letto per
la programmazione dell’attività libero professionale, unicamente entro i limiti
fissati dall’art.4, comma dieci, l.n.502/92 e nella specie non è controverso
che il numero dei posti letto destinati all’attività in regime di ricovero
corrisponda alla misura indicata dalla legge. Inoltre, la soluzione predisposta
dall’azienda, anche per il regime transitorio, è pienamente conforme alle
prescrizioni dettate nelle linee guida ministeriali, le quali prevedono che il
regolamento debba individuare posti letto, di norma ma non necessariamente
distinti, per l’esercizio dell’attività in questione (cfr. art.1 D.M. 31/7/97).
Nella
prospettiva di assicurare il pieno impiego della struttura sanitaria pubblica
per realizzare quelle economie di gestione che costituiscono uno dei motivi
ispiratori del sistema, non può dubitarsi che, per l’esercizio dell’attività
libero professionale in regime di ricovero, non sia necessaria la “creazione di
nuove strutture” e che i relativi posti letto possano essere reperiti anche
all’interno della dotazione esistente e persino conservare la possibilità di
impiego per la normale attività istituzionale.
In tal senso
depone la previsione contenuta nell’art.1, 16° comma, l.n.662/96, laddove si
stabilisce che i posti letto riservati alla libera attività intramuraria
concorrono alla formazione dello standard di dotazione media di cui all’art.2,
quinto comma, l.n.549/95, nonché, in maniera ancora più esplicita, la
previsione contenuta all’art.2 secondo comma del D.M. 31/7/97, che autorizza
l’impiego dei predetti posti letto per l’attività ordinaria.
6.2) A
considerazioni analoghe si presta anche la censura diretta a lamentare
l’insufficienza degli spazi destinati alla libera attività ambulatoriale. Con
essa i ricorrenti sostengono che l’amministrazione si è limitata a confermare
gli ambulatori già utilizzati per l’attività professionale interna senza
considerare le esigenze, in termini di spazi idonei e adeguati, di tutti gli
altri medici che possono optare.
La genericità
della censura appare disarmante, a fronte della pianificazione dell’attività
ambulatoriale predisposta dall’azienda e risultante dall’allegato B alla
deliberazione impugnata. In tale prospetto sono state indicate le ore
giornaliere di disponibilità degli ambulatori per l’esercizio dell’attività
libero professionale interna, non senza precisare che, in presenza di una
maggiore domanda di prestazioni, si sarebbe assicurata una più ampia
possibilità di impiego degli ambulatori e delle sale visita; si tratta di un
modulo organizzativo coerente alle ripetute linee guida e che comunque offre
concrete indicazioni agli interessati.
Nessun
attendibile elemento di giudizio è stato invece offerto dai ricorrenti per
dimostrare la fondatezza del proprio assunto e per evidenziare l’asserita
insufficienza delle disponibilità temporali e spaziali offerte dall’azienda. Il
che è sufficiente ad escludere la possibilità di apprezzare la censura.
6.3) In tutto
quanto precede risiede l’infondatezza dei rilievi, variamente diffusi nel
ricorso e nei motivi aggiunti, con i quali i ricorrenti hanno asserito
l’inidoneità degli interventi predisposti dall’azienda a costituire valido
presupposto dell’obbligo di rendere l’opzione.
7) Restano da
esaminare le residue censure esposte nel ricorso.
Nel primo
motivo si assume che gli atti impugnati sono meramente riproduttivi di
precedenti provvedimenti già sospesi con ordinanza assunta in sede cautelare
nel corso di altri giudizi, il che concreterebbe l’illegittimità dei nuovi
provvedimenti per invalidità derivata da quelli ad essi presupposti.
Per rilevare
l’infondatezza della censura è sufficiente considerare che l’ordinanza
cautelare emessa dal giudice amministrativo non esclude l’esercizio del potere
dell’amministrazione di provvedere con un nuovo atto in materia, purché detto
potere non venga esercitato al fine di eludere la pronuncia cautelare.
Nella
situazione in esame, si deve escludere che, con l’adozione del nuovo atto,
l’amministrazione abbia inteso perseguire finalità elusive; ed infatti, il
regolamento approvato con la deliberazione impugnata, anche se in parte
conforme al precedente provvedimento sospeso, è stato adottato in esito ad un
rinnovato procedimento istruttorio e in accoglimento delle modifiche formulate
da un’apposita commissione paritetica; esso è, inoltre, intervenuto per dare
applicazione, in un mutato quadro normativo e organizzativo, alle linee guida
per l’organizzazione dell’attività libero professionale intramuraria approvate
con il D.M. 31 luglio1997.
La circostanza
che il regolamento impugnato sia stato adottato in esecuzione di un diverso e
sopravvenuto presupposto normativo configura un elemento di novità, da solo
sufficiente ad escludere la possibilità di prospettare l’illegittimità
dell’atto per invalidità derivata.
8) Nel secondo
motivo si sostiene che il regolamento ha determinato e imposto unilateralmente
le tariffe per le prestazioni libero professionali, senza procedere d’intesa
con i dirigenti interessati e in assenza di previa contrattazione decentrata.
La censura
soffre di un evidente errore di prospettiva.
L’art.1,
secondo comma lett.e), del D.M. 31
luglio 1997 prevede che il regolamento di organizzazione dell’attività debba
stabilire i criteri per la determinazione delle tariffe e le modalità della
loro ripartizione; al fine di rispondere a tale adempimento e per dare concreto
avvio all’attività intramoenia, l’azienda ha adottato, in via transitoria e
sperimentale, l’ipotesi di tariffario allegata alla deliberazione impugnata.
Come risulta
tuttavia dall’art.5 del regolamento, la concreta entità delle tariffe per le
prestazioni professionali deve essere concordata con il professionista o con i
componenti dell’unità operativa che ha reso le prestazioni medesime; ne deriva
che al tariffario può riconoscersi valore non cogente, ma soltanto indicativo,
per cui esso è privo di contenuti lesivi delle posizioni soggettive degli
interessati.
Ciò a maggior
ragione qualora si consideri che i ricorrenti, che hanno optato per l’esercizio
dell’attività extramuraria, non possono vantare alcun concreto interesse a
censurare le modalità di determinazione e di applicazione delle tariffe per le
prestazioni rese da loro colleghi che hanno optato per il regime libero
professionale intramurario.
9) Con altro
mezzo di censura i ricorrenti sostengono l’illegittimità degli atti impugnati,
in quanto assunti oltre il termine del 30 giugno 1997 fissato nell’art.1 del
D.M. 11 giugno 1997.
La doglianza,
che deriva dal richiamo a motivi esposti in precedenti ricorsi, è inconferente.
Con la
deliberazione impugnata è stato approvato il regolamento previsto dall’art.1
del D.M. 31 luglio 1997; con detto testo normativo, come già precisato, sono
state definite le linee guida per l’organizzazione dell’attività libero
professionale intramuraria alle quali si è conformato l’atto regolamentare.
A questo è
quindi inapplicabile il termine invocato dai ricorrenti e ciò anche a
prescindere dal rilievo che la violazione di esso non comporta l’invalidità
degli atti assunti oltre la scadenza ivi indicata, ma costituisce unicamente
elemento di valutazione in termini critici dell’attività del direttore
generale.
10) Nel primo
motivo aggiunto si sostiene che il regolamento adottato dall’azienda non
contiene indicazioni in ordine al numero dei dipendenti che possono operare in
regime libero professionale, come richiesto dall’art.1 secondo comma lett.c),
del D.M. 31/7/97.
La censura è
infondata.
L’esercizio
della libera professione intramuraria costituisce un diritto del dirigente
sanitario, che può essere soggetto a limitazioni per esigenze organizzative e
di espletamento delle ordinarie funzioni istituzionali; per questa ragione il
decreto ministeriale ha stabilito che il regolamento aziendale debba precisare,
a fronte degli spazi e dei posti letto individuati, il numero dei dipendenti
che possono operare in quel particolare regime.
Il fatto che
il decreto ministeriale richieda che sia predeterminato il numero massimo dei
medici ammessi a svolgere attività libero professionale nelle strutture
allestite dall’azienda sta a significare che eventuali limitazioni
all’esercizio della libera attività professionale interna possono discendere
unicamente dall’atto regolamentare che ha fissato l’assetto organizzativo
generale del servizio libero professionale intramurario; si deve quindi ritenere
che la mancata indicazione nel regolamento del numero degli operatori che è
possibile ammettere all’esercizio dell’attività libero professionale interna
non possa avere altra conseguenza che quella di rendere illegittime postume
restrizioni.
Da ciò
l’ulteriore conseguenza che l’omissione, di cui si dolgono i ricorrenti, vale,
in realtà, a riconoscere a tutti i dipendenti interessati la facoltà di
esercitare l’attività interna, il che manifesta la palese strumentalità della
censura che non è promossa per evitare pregiudizi alla posizione soggettiva dei
ricorrenti, che da tale omissione non subiscono alcuna lesione, ma al fine
esclusivo di sorreggere il tentativo di sottrarsi all’obbligo di rendere
l’opzione.
Per rilevare
l’infondatezza dell’ulteriore profilo dedotto nel motivo e inerente alla
mancata concertazione con le organizzazioni sindacali, il Collegio osserva che,
come risulta dalle premesse del provvedimento, l’azienda ha operato ampie
consultazioni con gli organismi rappresentativi del personale medico,
acquisendo i relativi pareri favorevoli ed ha espressamente replicato, come
prescritto dall’art.1 ultimo comma del D.M. 31/7/97, alle contestazioni delle
organizzazioni rimaste invece dissenzienti.
11) Con il
secondo motivo aggiunto i ricorrenti sostengono che la prevista futura apertura
dello sportello dedicato alla gestione dell’attività libero professionale (per
le informazioni, le prenotazioni e i pagamenti) denota l’attuale mancanza di
una pur minima organizzazione del servizio.
Al riguardo si
osserva che l’art.1, secondo comma lett.f, del decreto ministeriale stabilisce
che il regolamento di organizzazione del servizio debba definire le modalità
per le prenotazioni, la tenuta delle liste d’attesa e le turnazioni del
personale e debba altresì precisare le modalità di utilizzo delle strutture per
l’esercizio dell’attività libero professionale. Si tratta di aspetti
organizzativi di particolare risalto, che sono necessari al concreto
svolgimento dell’attività professionale intramuraria, in quanto ne consentono
un’ordinata pianificazione e un’attuazione regolata.
A detti
profili, nonostante la loro indubbia rilevanza, il regolamento impugnato non ha
dedicato particolare attenzione, il che concreta un’omissione idonea a
determinarne la parziale illegittimità. Ciò implica il dovere del direttore
generale dell’azienda di porre in essere tutti gli adempimenti necessari per
l’integrazione del regolamento nelle parti che il Collegio ha riconosciuto
carenti, al fine di approntare le suindicate condizioni organizzative.
Trattandosi,
infatti, di modalità necessarie a garantire la piena operatività del nuovo
regime, la loro mancanza è idonea ad escludere l’obbligo di rendere la
comunicazione prevista dall’art.1, 10° comma, l.n.662/96; ne deriva che l’opzione
espressa dai ricorrenti in osservanza della nota 13 luglio 1998 deve ritenersi
priva di effetti, fermi comunque gli obblighi derivanti dalla normativa
sopravvenuta (art.15 quater l.n.229/99).
12) Il terzo
motivo aggiunto è diretto a censurare la “confusione”, indotta dall’art.8 del
regolamento, tra personale medico che può svolgere attività libero
professionale e altro personale sanitario (dei ruoli infermieristico e tecnico)
che partecipa soltanto all’acquisizione dei proventi.
In realtà la
norma censurata non genera alcuna confusione tra le diverse categorie di
personale, ma si limita a stabilire che le prestazioni dei dirigenti sanitari,
che operano in regime libero professionale, nonché quelle del personale
appartenente alle altre categorie, che collabora per assicurare l’esercizio
dell’attività medesima, devono essere tutte rese al di fuori del normale orario
di servizio. Si tratta, quindi, di una prescrizione, che è stata correttamente
estesa anche al personale non medico ammesso a collaborare all’attività libero
professionale, al fine di fissare regole di comportamento precise e uniformi,
al punto che, in caso contrario, i ricorrenti ne avrebbero a buon titolo
lamentato la mancanza.
13) Con altro
motivo aggiunto i ricorrenti censurano l’art.11 del regolamento, nella parte in
cui prevede l’eventuale avvio delle procedure disciplinari a carico del
personale impegnato nell’attività intramuraria, in caso di violazione dei
relativi doveri o in presenza di segnalazioni di altre negligenze; secondo i ricorrenti
l’esercizio del potere disciplinare non è compatibile con l’attività libero
professionale.
Non è qui il
caso di indagare la natura del rapporto che si instaura tra sanitario libero
professionista interno e istituzione ospedaliera; ai fini dell’esame della
censura basta rilevare che il libero professionista è comunque soggetto al
potere disciplinare dell’ordine professionale di appartenenza, per cui la
previsione regolamentare, che si limita a prevedere un atto di impulso, non
presenta i denunciati profili d’irrazionalità, ciò non senza considerare che la
previsione medesima ha un contenuto generale ed astratto e non riveste quindi
immediata capacità lesiva.
14) In
conclusione il ricorso è fondato e deve essere accolto unicamente nei limiti
indicati al punto sub 11), con le conseguenti statuizioni di cui al
dispositivo.
L’esito
complessivo del giudizio giustifica la compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.
il Tribunale
Amministrativo Regionale per la Lombardia definitivamente pronunciando sul
ricorso n. 2905/98 così dispone:
-accoglie il ricorso nei
limiti di cui in motivazione e per l’effetto dichiara priva di effetti
l’opzione espressa dai ricorrenti e manda al direttore generale dell’azienda
intimata di integrare il regolamento nelle parti indicate in motivazione;
-compensa le spese.
Ordina che la presente
sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano il
27/10/99 in camera di consiglio con l'intervento dei magistrati:
Domenico Giordano presidente estensore
Carmine Spadavecchia consigliere
Riccardo Savoia consigliere
Sentenza
depositata il 3 maggio 2000 al n.3138